Se c'è una cosa che ho capito in questi ultimi anni di assenza dai blog è che questi ultimi sono stati colpiti quasi a morte dai social network come Facebook, Twitter o Instagram, soprattutto perché internet, con l'esplosione di mezzi come iPhone e iPad, richiede sempre maggiore sintesi, e se le persone riescono a narrarsi usando uno spazio ristretto come 140 scarni caratteri vuol dire che non hanno più bisogno delle vaste praterie di un post. Non è un caso che abbia trovato nella mia timeline di Twitter "vecchi" blogger come Pellescura, Cristiana o Marina di Inezie Essenziali.
Nel tempo analizzo meglio gli strumenti, e le persone che li animano, e mi accorgo che tanti hanno anche un blog, che siano i gloriosi Blogspot o Wordpress oppure metablog come Tumblr. E così mi rendo conto che le persone hanno bisogno di esprimersi con battute fulminanti (come nella continua gara di Twitter), di condividere le immagini delle proprie giornate (su Instagram), ma anche di prendersi delle riflessioni più elaborate. Succede allora che il vetusto blog (che pure in origine era stato pensato come strumento di comunicazione sintetica) può essere più efficace di Facebook, per le sue caratteristiche di democraticità ed universalità, rispetto all'eccessivo controllo dei contenuti da parte dei gestori del "faccialibro", ma anche terreno dove misurarsi con la propria capacità di scrittura, dove non bastano certo una manciata di caratteri per dimostrare di essere maestri di pensiero. Su Twitter ho avuto il piacere di leggere i brevi contenuti di menti eccelse (uno su tutti, Frandiben, un genio assoluto), ma purtroppo la maggior parte delle cosiddette twittstar, nel loro continuo agonismo di arguzia, umorismo, intelligenza, finiscono per comunicare idee banali e scontate, salvo poi essere pronte ad azzannare al collo chiunque abbia la medesima facile idea, rivendicandone la primigenia paternità, in un continuo stucchevole battibecco che i 140 caratteri non servono certo ad arginare. Internet è piena di gente che a chiacchiere vorrebbe tutto libero, dai film alla musica, salvo poi minacciare chiunque copi loro una battuta triste ed infelice.
Inoltre i nuovi social hanno come difetto principale un'eccessiva volatilità dei dati, propongono contenuti che invecchiano nell'ordine di secondi. Il post di un blog è ancora disponibile dopo anni, restituisce un percorso di creatività e di crescita molto meglio del famigerato diario di Facebook o della forzata sintesi di Twitter.
Anni, già.
Cosa ne è stato di me e del mio blog, negli ultimi anni?
La libertà di espressione è come una meretrice: sembra disponibile per tutti ma non tutti se la possono permettere.
Così ho finito per tenere fuori dalla mia vita persone eccezionali (da Irnerio ad Anna, per non parlare di Cristiana, che mi aveva praticamente adottato) che, immaginavo, avrebbero dato battaglia per me, a costo di rischiare di persona. Persone che non volevo coinvolgere nelle mie disavventure, così, dolorosamente, le ho estromesse dal mio quotidiano, ho dato loro l'impressione di essere un ingrato narcisista che da un giorno all'altro ha smesso di salutarli. Non sono riuscito a stare accanto (sia pure solo virtualmente) ad Anna durante il dramma del terremoto abruzzese. Non ho fatto sapere a Marina quanto le fossi vicino quando aveva bisogno di sostegno. Non ho dato uno straccio di spiegazione ad Irnerio e a Cristiana. Mi sanguina ancora il cuore per questo. Non ho abbastanza forza per chiedere loro scusa con tutta l'energia di cui ci sarebbe bisogno.
Un po' col tempo, un po' con la carta bollata, si arriva a questo spazio, che in parte recupera materiale precedente. Nel frattempo era cresciuta la personale disillusione verso questi strumenti, e la voglia di continuare era prossima allo zero. Mi sono appassionato ad altri mezzi espressivi, che già covavano, finché Twitter non mi ha risvegliato la mano da scrivano dal torpore.
La persona dietro tutto questo, ossia il sottoscritto, nel frattempo è cresciuta. Oserei dire invecchiata, se non corressi il rischio di offendere qualcuno che sia nato ancor prima di me e che rispetto al sottoscritto è molto più sveglio e vitale. Nella breve biografia richiesta dal profilo Twitter mi descrivo con sole quattro parole: gay ateo comunista terrone. Sarà per questo che ho pochissimi follower.
Nel maggio scorso, nel giorno del nostro decimo anniversario di "fidanzamento", mi sono sposato col mio compagno. Naturalmente non in Italia.
A New York City. City Clerk di Manhattan. Matrimonio valido in tutti i paesi civili. Naturalmente non in Italia.
E così il cognome Grimaldi, che usavo come alias in suo omaggio, è diventato legalmente parte del mio vero cognome. Naturalmente non in Italia.
Vivo sempre vicino Milano, anche se non so ancora per quanto. Nel nostro futuro potrebbe esserci Stoccolma oppure New York. Potendo scegliere, e non potendo proprio fare altrimenti, preferirei New York. Almeno conosco già il cattivo inglese che vi si parla. Di imparare lo svedese proprio non se ne parla. Già trovo raccapricciante il catalogo di Ikea, figuriamoci il dizionario. Lo so, non si finisce mai di ricominciare daccapo.
Sono ulteriormente ingrassato. Sono passato da una Renault Megane ad una Volkswagen Golf. Non uso più computer desk con Windows ma solo portatili Apple. Leggo, scrivo, gioco, elaboro foto e navigo quasi solo con iPad. Sul posto di lavoro sono passato da "ultimo arrivato" a "uno degli anziani". Ascolto sempre Fossati e Mannoia, ma anche Mina e Gaber, ma anche Madonna e Beatles, ma anche un mare di podcast. Sarà per la troppa varietà che mi si è abbassato l'udito.
Il nostro cane Joy ha compiuto negli ultimi giorni nove anni. Quando aveva sei mesi scarsi chiedemmo alla veterinaria se fosse normale tanta esagitazione. Ci disse che si sarebbe calmato crescendo. Ecco, non vorrei minare le sue convinzioni, ma in questo caso ha toppato clamorosamente: è ancora un adorabile scassacazzi, e non lo vorremmo diverso da com'è.
La nostra cagnetta Charlina va per i quindici. In aprile 2010 le è stata asportata la milza. Ci teneva attaccato un tumore più grande della milza stessa. Secondo la veterinaria difficilmente sarebbe vissuta ancora 10-12 mesi. Durante l'aprile 2011 la guardavo come se potesse morire da un momento all'altro, ma Charlina non lo sapeva che doveva morire, ed infatti ancora oggi è viva, e sembra anche piuttosto in forma. Ci guardiamo bene dal dirle che doveva morire un anno e mezzo fa.
Ho perso mio padre. Non per distrazione. Il prossimo 5 gennaio saranno già tre anni. Prima o poi scriverò dei suoi ultimi giorni. Potrebbe venirci un soggetto per un film di Ozpetek, uno di quelli in cui si ride, poi muore qualcuno, si piange, poi all'improvviso si ride di nuovo.
Mia madre, nel 1967, voleva recarsi a Venezia, per il viaggio di nozze, ma non ci fu verso: troppo lontana da Napoli, troppo costosa per le loro possibilità. Il viaggio toccò prima Pompei, quindi, temerariamente, Roma, ma solo per tre giorni. Venezia era rimasto il sogno proibito durante tutto il quarantennale matrimonio. Dopo la fine di mio padre, alla tenera età di 73 anni, mia madre si è trasferita a Venezia. Adesso mi sento un poco veneziano anch'io.
Direi che per stavolta basta così. Come vedete, ci vuole poco per disimparare la sintesi: basta avere spazio e la famiglia giusta.